Diversificare Non Serve a Niente?
Il titolo è un po’ provocatorio ma ho voluto scriverlo per esprimerti un concetto serio che deriva dall’esperienza di tanti anni in cui, parlando con i nostri clienti, ne ho sentite e lette di tutti i colori.
Partiamo da un principio di base: quasi tutti hanno in mente, in un modo o nell’altro, il concetto di diversificazione.
Per molti diversificare vuol dire, in tanti casi, mettere le uova in panieri diversi…o apparentemente diversi!
L’investitore italiano medio, per prima cosa, conosce la forma di diversificazione più “comoda”: quella dei gestori.
Dato che tende a disinteressarsi della gestione del proprio patrimonio raccontandosi che non ha tempo o che non è in grado, lo spiattella tra più promotori finanziari sperando che qualcuno di loro azzecchi qualche mossa.
Il risultato, in questi casi, è che ogni gestore tratta più o meno il cliente allo stesso modo e gli investimenti che vengono fatti variano soltanto per la “marca” dei fondi venduti, solitamente quelli della casa, con sottostanti praticamente identici.
I costi vanno alle stelle, visto che si alimentano più reti bancarie, e in sostanza la diversificazione non c’è perché tendono tutti a fare più o meno le stesse cose.
Altra forma di diversificazione amata dall’investitore italiano medio è quella immobiliare: spesso c’è un patrimonio di partenza in famiglia, semplicemente si compra altrove. Ho la casa al mare acquistata da papà? Per far vedere che non sono da meno, la compro in montagna.
Il problema, in questo caso, è che gli acquisti si concentrano in zone “simili”: se, per esempio, sono di Torino, oltre all’abitazione cittadina di proprietà ubicata nei quartieri residenziali migliori, generalmente la mia casa al mare sarà in Liguria e quella in montagna può essere al massimo tra la Via Lattea e la Valle d’Aosta.
Diversificazione? Assente, perché se va sottosopra l’economia di Torino automaticamente crollano sia il mercato cittadino residenziale che quello delle vacanze di prossimità frequentato dai miei “simili”.
Poi ci sono altri investitori, quelli che con il web si sentono furbi: chiamiamoli “diversificatori tecnologici”.
Costoro, in genere, si iscrivono a piattaforme online simili (es: crowdfunding immobiliare o broker) e cominciano a spiattellare il capitale su più progetti.
Nel caso del lending immobiliare, per esempio, diversificano partecipando a tanti progetti.
Tutto bello, se non fosse che 9 volte su 10 questi progetti sono tutti uguali: devono dare un rendimento a breve termine e, gira e rigira, sono quasi sempre nelle stesse città italiane dove ancora si muove un po’ di edilizia.
Ovviamente se salta per aria il mercato immobiliare di Milano o di Roma quasi tutti i progetti fanno la stessa fine essendo pensati con i medesimi presupposti.
Chi, invece, si approccia alle nuove piattaforme online diversifica spesso in modo ancora più facile: compra cose a caso. Salta dall’ETF a leva sul petrolio alle crypto passando per le growth stocks e le azioni della Coca Cola.
Risultato? Spesso la diversificazione si riduce ad una collezione di figurine priva di una reale strategia e, sovente, ai primi scricchiolii comincia la paura tipica di chi, in cuor suo, sa di non avere il controllo di quello che sta facendo.
Perché ho voluto raccontare queste storie?
La diversificazione è un concetto corretto che, come insegno da anni, deve andare a braccetto con la decorrelazione.
Ti faccio un esempio. Acquistare 10 azioni tech non è una diversificazione completa e sicura al 100%: certo, è meglio rispetto a comprare una sola azienda e ci protegge maggiormente dal rischio del singolo titolo, però può non bastare se le caratteristiche del paniere sono identiche.
Al primo raffreddore, infatti, va giù tutto nella medesima direzione.
Al tempo stesso, poi, c’è la concentrazione settoriale: oggi il tech, per attenerci all’esempio, è al centro di tutto. E se domani non fosse così?
In più, aggiungo, il tech fa parte a sua volta della categoria “azionario” che, pur dovendo necessariamente essere all’interno di un portafoglio, non può essere l’unica asset class presente per andare incontro con serenità alle varie fasi dell’economia.
Un portafoglio ideale è come un’orchestra: ci sono i violini, le trombe, i tamburi e un direttore che, in qualche modo, cerca di fare ordine.
Un direttore che sa anche, in caso di steccata del violino, quale contributo può dare il musicista che suona la tromba per bilanciare l’errore.
La decorrelazione è anche questo: quando investiamo un grosso capitale non dobbiamo solo puntare al rendimento scommettendo su chi ha storicamente guadagnato di più ma è necessario che siamo in grado di garantire al nostro patrimonio un equilibrio nelle varie fasi del mercato.
Dobbiamo essere protetti in caso di crescita dell’inflazione, per esempio, acquistando gli strumenti giusti. Dobbiamo sapere cosa fare in caso di crolli del mercato azionario e, per essere preparati, dobbiamo agire prima che questo avvenga.
Insomma, come vedi, gestire un patrimonio non è affatto banale ma, con le giuste informazioni, è assolutamente fattibile o, quanto meno, puoi evitare quella spiacevole sensazione di non capirci nulla di quello che ti fanno fare e vivere sempre col dubbio di aver sbagliato qualcosa.
Noi lo facciamo da anni con i nostri soldi e con i nostri contenuti aiutiamo tantissimi investitori come te a prendere le decisioni corrette.
A seconda della versione che sceglierai metterai finalmente ordine nella miriade di concetti che forse hai sentito in questi anni ma che non hai mai sistematizzato e, soprattutto, al termine non dovrai più fidarti del primo che passa ma sarai in grado di valutare qualsiasi proposta con il giusto grado di consapevolezza.
Mi auguro di averti tra i nostri clienti.
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