E se stessimo andando incontro a un uragano di iperinflazione?
Premessa importante: l’ambasciatore non porta pena. Ammetto che io stesso mi sto ancora facendo un’idea su questa cosa, anche perché ci sono tantissime variabili in gioco.
Andiamo al punto. Una parte importante di analisti e economisti – non ci interessano i nomi sostiene che fino a ora non abbiamo ancora visto nulla delle conseguenze economiche del Covid-19.
Questo perché le banche centrali si sono sostanzialmente sostituite al mercato,
provvedendo a sostenere le persone senza un reddito laddove ci siano stati fallimenti, posti di lavoro persi e cali di fatturato.
Nel normale andamento di un’economia, le persone offrono la loro produttività in cambio di un reddito. Più produci, più puoi cose puoi avere in cambio. E come si misura la produttività delle persone e la quantità di cose che possono avere in cambio? Con la quantità di valuta (euro, dollari, ecc.) che ottengono come reddito.
Quindi, in una situazione normale, la tua produttività è direttamente proporzionale alla quantità di cose che ti puoi permettere. E questo liberalismo economico permette di creare una società meritocratica, ma soprattutto permette di tenere a bada l’inflazione.
Per capirlo, immaginati un’economia che produce soltanto due beni: penne e tazzine. In questa economia ci sono 10 persone, 5 delle quali producono penne e 5 delle quali producono tazzine. Facendo un caso semplice come questo, il concetto diventa davvero evidente.
Il prezzo delle penne è determinato da due cose: dalla quantità di penne che viene prodotta (offerta), e dalla quantità di penne che viene comprata (domanda). Per cui se produci tazzine hai soltanto due modi per permetterti di comprare più penne: produrre e vendere più tazzine, oppure sperare che i produttori di penne si diano da fare, aumentando l’offerta sul mercato e di conseguenza abbassando il prezzo.
Supponiamo che due produttori di penne si licenzino senza ricevere nessun sussidio. Questo diminuisce la quantità di penne sul mercato, di conseguenza aumentando il loro prezzo. Ma ora che queste due persone non hanno più un reddito, non possono più permettersi le tazzine. Questo diminuisce la domanda e dunque il prezzo delle tazzine.
L’effetto di queste due dimissioni ha aumentato il prezzo di un bene e ridotto nella stessa misura il prezzo dell’altro, per cui l’effetto sull’inflazione è stato completamente nullo.
Vedi? Il mercato vede e provvede. Finché non arrivano i sussidi, per lo meno.
Ripetiamo l’esempio, ma questa volta quando i due produttori di penne si licenziano continuano a percepire il 75% del loro reddito sotto forma di sussidio statale.
La produzione di penne da parte di queste due persone si annulla completamente, esattamente come prima. Ma questa volta possono continuare a comprare le tazzine usando il sussidio che hanno ricevuto.
L’offerta di penne diminuisce della stessa quantità, mentre la domanda di tazzine subisce un calo più lieve. Per cui il prezzo delle tazzine non scende più come prima, ma meno.
L’effetto di queste due dimissioni ha aumentato il prezzo di un bene ma non ha ridotto nello stesso modo il prezzo dell’altro. E come si chiama quella cosa che succede quando il prezzo medio dei beni di un’economia aumenta? Per l’appunto, si chiama inflazione.
E nessun periodo storico ha mai visto la stessa quantità di sussidi di questo. Il 40% di tutti i dollari americani mai stampati, è stato stampato negli ultimi 12 mesi. Il dato è simile per euro e yen giapponesi.
Decenni, in alcuni casi secoli di libero mercato hanno prodotto una base monetaria di poco superiore a quella che hanno prodotto i sussidi degli ultimi mesi.
“Ma allora perché non stiamo vedendo gli effetti di questa inflazione?” potresti chiedere.
Beh, è soltanto una questione di come l’inflazione viene misurata. Normalmente il paniere di beni considerato per l’inflazione comprende beni di prima necessità (pane, olio, latte, ecc.), spese mediche, ristoranti, viaggi, vestiti e immobili.
Aspetta…ma quanto vale un abbonamento in palestra oggi che le palestre sono chiuse? E scusa…quanto costa la cena fuori in quel ristorante che ha la serranda abbassata? Vogliamo parlare della domanda per i vestiti, ora che abbiamo il pigiama 24/7?
E i prezzi degli hotel? Beh quelli sono scesi, d’altronde nessuno ci vuole andare. Il che mi ricorda che vale lo stesso per gli aerei, dal momento in cui le compagnie aeree non possono bruciare offerta così facilmente (gli aerei fermi costano quasi come quelli che volano).
Però se mi guardo bene intorno, io un po’ di inflazione l’ho vista.
L’ho vista sui “lockdown goods” (cose per allenarsi a casa, software per remote working, sedie da scrivania e così via), ma l’ho vista soprattutto sui mercati finanziari.
D’altronde se sia i beni rifugio che gli asset rischiosi che i bond che gli investimenti “meme” (Gamestop, crypto, ecc.) sono arrivati ai massimi storici in questo preciso momento ci può essere una sola spiegazione: i capitali non sono stati spostati da un asset all’altro.
Sono aumentati nel complesso.
Molte persone hanno preso i sussidi per vivere. Le altre hanno percepito un reddito che non potevano spendere e hanno semplicemente comprato strumenti finanziari o rimpolpato i loro conti correnti. Come un elastico che è stato caricato, caricato, caricato, caricato e ora è pronto a rilasciare tutta la sua energia.
Alla fine di tutta questa situazione, mettiti già nell’ottica che le persone ricominceranno a spendere in lungo e in largo. È normale. Tutti preferiscono una bella vacanza a un pacchetto azionario. L’unico motivo per cui si comprano i pacchetti azionari è che in prospettiva questi ci permetteranno di avere ancora più vacanze, ancora più belle, oppure lo permetteranno ai nostri eredi.
E di certo non teniamo il denaro sul conto per crogiolarci nel senso di goduria di essere casa a Ferragosto ma con un numero più alto che appare nel resoconto dell’home banking.
Siamo fatti così, siamo umani.
Ci piacciono i beni di consumo, le macchine che profumano di nuovo, il rumore del vino servito nel calice dal cameriere, le scarpe nuove e i biglietti in tribuna per la Moto GP (o qualcosa di simile).
Ora come ora la macchina non serve, il cameriere è stato messo in cassa integrazione, le pantofole sono più attraenti delle Louboutin e sugli spalti mettono il pubblico finto che, a parer mio, è più triste che non averlo.
Ma l’inflazione è come la verità. Può fare lunghi giri, la si può depistare, si può ritardare e far finta di niente, ma prima o poi esce fuori. Presto o tardi tutti quei soldi finiranno nei beni di consumo.
Dall’altra parte, l’offerta ci metterà anni prima di ritornare quella di prima. Se una palestra su tre non esisterà più al momento della riapertura, non verrà sostituita il giorno dopo. Gli aerei rottamati come lattine da riciclare, gli hotel da ristrutturare, i negozi di abbigliamento falliti che dovranno passare di mano. Ci vorrà tempo, mentre la domanda per tutte queste cose sarà più alta che mai.
E come lo chiameremo quando i prezzi medi dei beni della nostra economia aumenterà dall’oggi al domani?
Inflazione.
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1 Commento
vincenzo · 16 Marzo 2021 alle 11:58
Riflessione interessante.