Il Posto Migliore al Mondo per fare Affari: la Nuova Zelanda. Ma perchè?
La storia di un enorme successo economico che nessuno può definire “miracolo”.
Bene o male la storia di tutte le nazioni economicamente sviluppate ha seguito una di queste tre strade.
1# La prima strada
La prima strada è passare attraverso un periodo di “boom economico”, come l’Italia, il Giappone, la Corea del Sud, la Cina, la Germania e tante altre nazioni hanno fatto in momenti diversi degli ultimi 100 anni.
Questa strada prevede di essere una fonte di attraversare una rapida industrializzazione spinta dalla manodopera a basso costo, che normalmente viene comoda a paesi già economicamente più avanzati per spostare la produzione dei loro beni dove questa costa di meno.
A poco a poco la domanda di nuovi lavoratori fa crescere una nutrita classe media, che crea una domanda interna e fa studiare i figli più a lungo. Il risultato è un’economia che sta in piedi da sola.
2# La seconda strada
La seconda strada è avere tante risorse naturali, come gli Emirati Arabi, la Norvegia, il Sud Africa e l’Australia. Anche in questo caso c’è una fase di rapida industrializzazione, ma trainata dall’export di materie prime più che dalla domanda di manodopera a basso costo.
Se l’industria delle risorse naturali viene nazionalizzata e i suoi proventi vengono buttati all’aria, come nel caso del Venezuela, questa strada non funziona; se invece si fa un uso intelligente di questa opportunità, il PIL cresce molto rapidamente e con il vantaggio di evitare la “middle-income trap” (il problema di non avere più redditi così bassi da essere delle buone fonti di manodopera, avendo però redditi troppo bassi per costruire una fonte domanda interna).
3# La terza strada
La terza strada è quella del paradiso fiscale. Aruba, Curaçao, Barbados, Monaco, Lussemburgo e così via.
In questo caso si aspetta semplicemente che le aziende trasferiscano i loro uffici in loco per approfittare di bassa tassazione, di solito accompagnata anche da segreto bancario e da facili licenze per operare in settori strategici (gioco d’azzardo, finanza, assicurazioni, studi legali, ecc.).
Per le nazioni con una popolazione inferiore ai 3-4 milioni di abitanti è la strada più semplice e meno faticosa verso uno sviluppo piuttosto veloce.
La Nuova Zelanda ha fatto niente di tutto questo. Non ha le risorse naturali dell’Australia, non è abbastanza vicina al resto del mondo per essere un polo industriale conveniente e ha troppa gente per poter fare il giochetto del paradiso fiscale.
Il suo PIL non è nulla di spaventoso: 42.000$ pro-capite, al di sotto dell’Australia (55.000$) e vicino a quello del Canada (46.000$).
Stiamo comunque parlando di una cifra superiore a quella italiana, francese e esattamente uguale a quella del Regno Unito.
Niente male, considerando che per un paio di secoli i cartografi non si sono nemmeno sprecati a disegnarla sulle mappe. Anzi, sapete chi ha scoperto la Nuova Zelanda? Un’alternativa olandese al nostro Cristoforo Colombo, un tale Willem Janszoon di cui nessuno di noi ha mai sentito parlare.
Quindi dove sta il segreto?
Sostanzialmente in un’ottima pianificazione di lungo termine. Puoi pensare alla Nuova Zelanda come all’uomo di 60 anni che non ha mai guadagnato più di 2.500€ lordi al mese nemmeno all’apice della sua carriera.
Però ha sempre risparmiato una buona parte del suo stipendio, non ha mai fatto debiti, ha investito coltivando l’interesse composto e a poco a poco ha costruito il suo successo finanziario in questo modo.
Prendiamo come esempio l’agricoltura
Fino al 1980, come in tutte le nazioni sviluppate, l’agricoltura era pesantemente finanziata dallo Stato. Questo succede ancora oggi: negli Stati Uniti, il 50% dell’area coltivata è adibita alla coltivazione di grano o di soia.
Non perché siano due prodotti con buoni margini, non perché siano due tipologie di coltivazioni ad alto valore aggiunto o perché si adattano particolarmente bene al clima statunitense: sono semplicemente le due colture con più sussidi.
Da una parte questo permette agli agricoltori di non essere totalmente in balia di Madre Natura, ma dall’altra parte elimina completamente la spinta all’innovazione e all’efficienza. Perché innovare ed efficientare i processi, quando significa rinunciare a un assegno sicuro?
Negli anni ‘80 il governo neozelandese ha deciso di eliminare gradualmente i sussidi all’agricoltura. Il risultato, dopo 40 anni, è che il peso del settore primario sul PIL di tutte le nazioni sviluppate si è ridotto. Ma non in Nuova Zelanda, dove è aumentato dal 4,8% al 9,7% tra il 1990 e il 2020 (dati OECD).
Questo è solo uno dei tanti esempi di come il governo neozelandese negli anni è riuscito a costruire un’economia quasi perfetta. Il budget annuale delle casse pubbliche si chiude quasi sempre con un surplus, per cui l’indebitamento della nazione è in calo costante.
E il denaro che arriva dall’emissione di bond viene investito in progetti produttivi: energia rinnovabile, incentivi alle startup, infrastrutture per i trasporti e welfare dei cittadini.
Nella classifica “Ease of doing business” della World Bank, la Nuova Zelanda si posiziona stabilmente prima al mondo.
Ma perché?
Non tanto per le tasse (i profitti delle imprese sono tassati al 28%), ma per tutto ciò che in cambio di quelle tasse viene offerto ai lavoratori e agli imprenditori.
I lavoratori neozelandesi hanno generose ferie pagate, maternità piuttosto lunghe e sussidi di disoccupazione superiori alla media europea.
Per gli imprenditori, aprire una società è questione di pochi minuti e pochi dollari. I permessi di costruzione si ottengono nell’arco di giorni, non di anni.
Registrare la proprietà di un immobile o di una macchina è facile, ottenere il credito è facile, ci sono tanti finanziamenti per le imprese innovative, i soci di minoranza sono ben protetti, far valere un contratto (anche in tribunale) è una garanzia, la proprietà privata viene rispettata e in caso di insolvenza il processo di liquidazione è rapido e indolore. E pagare le tasse, anche se non sono basse, è facile.
Sono tutte piccole cose che di fatto non costano niente al governo centrale. Eppure sono ciò che rende la Nuova Zelanda un miracolo economico sui generis, basato solo “sul fare le cose bene”. Anzi…a pensarci è stato tutto l’esatto contrario di un miracolo.
A mio avviso ci sono delle grandi lezioni in questa storia che hanno determinato il successo della Nuova Zelanda nel corso dei decenni:
- Hanno capito quale sia l’esatto confine tra ciò che il libero mercato fa meglio e ciò che lo Stato fa meglio;
- Si sono dotati di un quadro normativo, legale e fiscale, che favorisce la semplicità e la velocità;
- Anziché tagliare le tasse, hanno capito come rendere le imprese felici di pagarle
- Hanno bilanciato il welfare con il gettito fiscale, in modo che la ricchezza pubblica e il benessere dei singoli cittadini vadano di pari passo;
- Alla radice di tutto questo, hanno combattuto la corruzione in modo che la teoria divenisse pratica.
C’è un milione di motivi per cui è difficilissimo paragonare la gestione di un’economia nazionale alla gestione della finanza personale. Se però dovessi personificare la nostra economia, quella neozelandese e quella americana, più o meno direi questo:
- La Nuova Zelanda è il lavoratore che con un reddito nella media, grazie alla pianificazione finanziaria, al risparmio, ai giusti investimenti e alla mancanza di indebitamento si è garantito la libertà finanziaria e una vecchiaia benestante e senza pensieri;
- L’Italia è il dipendente che si è fatto il mazzo dai 25 ai 30 anni per diventare quadro, dopodiché ha deciso che poteva smettere di fare carriera e tirare avanti in quel modo. A quel punto ha acceso il finanziamento sulla macchina, ha comprato la TV a rate e non ha mai messo via un euro, ma grazie allo stipendio che arriva ogni mese grossomodo tira avanti;
- Gli Stati Uniti sono il manager da 120.000€ all’anno che ha comprato l’attico, la barca e la Porsche. Poi ha dovuto vendere la barca per pagare le rate della Porsche, ma nel frattempo l’attico è aumentato di valore. Così l’ha venduto, solo per comprare una tenuta di campagna da 4 milioni di dollari che ne costa 40.000 all’anno in manutenzione. Fortuna che nel frattempo il suo salario è aumentato a 200.000$ all’anno, e così via.
Lungimiranza, pianificazione e pragmatismo sono virtù del privato e della cosa pubblica, così scontate a pensarci…ma così difficili da trovare.
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